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Definizione e descrizione

L’attacco di panico, uno dei disturbi d’ansia più diffusi tra la popolazione mondiale, è una sensazione, acuta ed improvvisa, di forte paura, la cui durata media può variare dai 10 ai 15 minuti.
Gli individui che ne soffrono manifestano sintomi fisici, in particolare cardiopolmonari (dolore al petto, tachicardia, sensazioni di asfissia o di soffocamento), neurovegetativi (sudorazione, vampate di calore, freddo intenso, tremori), gastrointestinali (disturbi addominali), neurologici (parestesie, intorpidimento, sbandamento, instabilità), psichiatrici (depersonalizzazione, derealizzazione, paura di perdere il controllo, di morire e di impazzire).

Il DSM V distingue tre diverse tipologie di attacchi di panico: inaspettati (non provocati), causati dalla situazione (provocati) e sensibili alla situazione.
Quelli inaspettati (non provocati) sono percepiti come attacchi “a ciel sereno”, in quanto il soggetto non stabilisce un rapporto di causa-effetto tra il fattore scatenante (interno o esterno) e l’attacco di panico. Negli attacchi di panico causati dalla situazione (provocati), l’attacco si manifesta subito dopo l’esposizione al fattore scatenante o nella previsione di potervi incorrere.
Quelli sensibili alla situazione si verificano anch’essi dopo l’esperienza dell’evento scatenante, ma dopo un periodo di tempo più lungo.

Quando gli attacchi di panico inaspettati sono ricorrenti, sono accompagnati dal timore di nuovi attacchi (ansia anticipatoria), presentano almeno 4 dei 13 sintomi classificati dal DSM V e si manifestano in maniera persistente per almeno un mese, siamo in presenza del disturbo da attacchi di panico.
Il DSM V distingue il tipo con Agorafobia e senza Agorafobia, e separa entrambi da altri disturbi d’ansia, come la fobia sociale, i disturbi ossessivo-compulsivi o i disturbi post-traumatici da stress, nei quali possono pure manifestarsi forme di panico, in particolare quelle causate dalla situazione.
Non si tratta invece di disturbo da attacchi di panico quando questi ultimi sono dovuti a problemi medici (ad es. ipertiroidismo) o all’assunzione di sostanze che producono effetti sul sistema nervoso centrale (ad es. droghe, farmaci o nei casi di intossicazione da caffeina). Invalidante per la vita sociale ed affettiva di chi ne soffre, questo genere di disturbo insorge in genere dopo l’adolescenza, all’inizio dell’età adulta, e colpisce più le donne che gli uomini.
Il disturbo da attacchi di panico è considerato sempre più una patologia di importante rilevanza sociale: l’angoscia legata alla paura di avere un nuovo attacco di panico (ansia anticipatoria) e lo scoraggiamento derivante dal pensiero di trovarsi in una strada senza via d’uscita (demoralizzazione secondaria) compromettono in modo grave la vita di relazione del soggetto.

Le indagini neuroradiologiche, in particolare le tecniche di neuroimaging funzionale, che permettono di visualizzare le regioni del cervello implicate nelle varie situazioni della vita, hanno ulteriormente arricchito le nostre conoscenze sull’organizzazione anatomo-funzionale cerebrale e sulle sue compromissioni.
Perno di tutto è l’amigdala.
Localizzata nell’estremità rostrale del lobo temporale, in sede profonda rispetto alla corteccia piriforme dell’uncus, l’amigdala è una regione a forma di mandorla facente parte del sistema limbico e suddivisa in vari nuclei, ciascuno dei quali ha distinte afferenze ed efferenze e differenti funzioni.
Una volta giunti al nucleo laterale dell’amigdala, gli input sensoriali, passando per i nuclei basali e basale accessorio, fluiscono al nucleo centrale da cui partono le vie efferenti responsabili delle risposte da attacchi di panico.

Intervento terapeutico

Negli ultimi decenni numerose ricerche hanno comprovato l’efficacia della psicoterapia, da sola o in combinazione con interventi farmacologici, per la cura dei disturbi da attacchi di panico.
In una ricerca condotta nel 2008, Mark J. Boschen ha mostrato che, nel panorama scientifico anglofono degli ultimi trent’anni, le pubblicazioni sui disturbi d’ansia sono aumentate in maniera considerevole e che il loro numero è destinato a crescere.
Solo per i disturbi da attacchi di panico lo studioso ha infatti recensito circa 4000 articoli.
La creazione di una rivista monografica come il Journal of Anxiety Disorders, pubblicata a New York, è emblematica dell’interesse crescente e testimonia la pluralità di approcci, anche in ambito psicoterapeutico.

L’ipnosi costituisce una delle modalità terapeutiche più affidabili e rapide, sia in termini di risoluzione del disturbo sia di ristrutturazione degli schemi e dei modello di pensiero sottostanti il problema in essere.
Infatti, se s’interviene a un livello unicamente sintomatico, il rischio di ricaduta è elevatissimo se non addirittura certo.
Negli ultimi anni numerosi studi hanno analizzato l’efficacia terapeutica dell’ipnosi nel trattamento del disturbo da attacchi di panico e dei disturbi d’ansia in generale.
Una ricerca condotta da Corydon Hammond D. ha dimostrato che i pazienti che si erano sottoposti a trattamento ipnoterapico ottenevano un miglioramento notevolmente più rilevante in termini di risoluzione del disturbo rispetto ai soggetti che si erano sottoposti a interventi cognitivi-comportamentali, ottenendo un miglioramento superiore al 70% in termini sia di guarigione dal disturbo sia di mantenimento nel tempo dei risultati ottenuti (Corydon Hammond D. Hypnosis in the treatment of anxiety- and stress-related disorders. Expert Review of Neurotherapeutics; 10(2), 263–273 (2010).
Tali risultati sono stati recentemente confermati da una meta-nalisi condotta da Kirsch I, Montgomery G, Sapirstein G. i quali hanno confermato la validità e l’efficacia dell’ipnosi nel trattamento dei disturbi da attacchi di panico (Kirsch I, Montgomery G, Sapirstein G. Hypnosis as an adjunct to cognitive-behavioral psychotherapy: a meta-analysis. Journal of Consulting and Clincal Psychology; 63(2), 214–220 (1995).
Inoltre, molti risultati sono ottenuti dalla casistica clinica e da studi descrittivi su singoli pazienti.
Un caso riportato da Brown D. e Fromm E. ( Hypnoterapy and Hypnoanalysis; Hillsdale, NJ: Erlbaum (1985) p.252 ) descrivono il caso clinico di un paziente il quale, in seguito alla nascita del figlio e al cambiamento di mansione lavorativa, aveva sviluppato degli attacchi di panico fortemente disabilitanti.
Il disturbo ha richiesto lo svolgimento di un numero ridotto di sedute, e al follow-up dopo 12 mesi dall’interruzione della terapia, il soggetto aveva mantenuto i risultai ottenuti, riuscendo a gestire episodi sporadici di ansia attraverso la pratica dell’autoipnosi.

Le modalità d’intervento, ed i modi attraverso i quali si decide di usare l’ipnosi, da sola o combinata altre forme di terapia comunemente usati per il trattamento del disturbo da attacchi di panico ed i disturbi d’ansia, variano da persona a persona e dagli obbiettivi terapeutici che si prefigge di realizzare.
Generalmente un percorso ha la durata di 10/15 sedute durante le quali il paziente è guidato a costruire abilità e capacità individuali che permettono di gestire il problema per superarlo efficacemente e definitivamente analizzando in che modo il problema si manifesti e mantenga nel tempo e su quali strategie vengano messe in atto dalla persona per farvi fronte.
Attraverso questa procedura è possibile, in tempi brevi, intervenire sulla sintomatologia determinandone una sua completa risoluzione oppure una gestione più funzionale, intervenendo sull’origine traumatologica del disturbo stesso modificando gli schemi emotivi-affettivi dell’episodio traumatico da cui ha avuto origine il problema.

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